Simbolo di nascita, fertilità e sessualità era profondamente connessa al culto della
Madre Terra, ( la terra era fonte di cibo e di acqua necessari al sostentamento) e diveniva espressione del ciclo eterno di nascita-maturità- morte e rigenerazione.
Un ciclo continuo che lega in modo indissolubile la vita umana alla Terra e al Cosmo.
“La magica autorità del femminile, la saggezza,
l’elevatezza spirituale che trascende i limiti dell’intelletto,
ciò che favorisce la crescita, la fecondità; i luoghi della magica
trasformazione, della rinascita….”
In questo modo
Carl Gustav Jung, in un suo saggio, ha definito l’archetipo della Dea Madre.
Il suo culto esiste da sempre e il suo fascino arcano ha permeato la vita umana. Venerandola, l’uomo si collega al divino, in quanto parte integrante di un Universo che lo libera dalla pura materialità della Terra. Attraverso la Grande Madre, da una parte entra in contatto con le forze telluriche, (la terra genera le piante, produce i frutti e permette alla vita di perpetuarsi. Nel suo aspetto umido e scuro ricorda il grembo e quindi l’utero nel quale viene generata la vita) dall’altra si eleva verso le energie cosmiche e onora
la Luna la quale con i suoi influssi presiede alla crescita delle piante, regolando così il lavoro dei campi, e alla regolazione delle maree.
Il culto della Dea Madre era spesso collegato all’oltretomba e alla morte, ma non in senso negativo ma come passaggio necessario per la rinascita. Infatti, secondo un principio fondamentale della Natura,
un seme ha bisogno di morire per generare una nuova pianta secondo l’eterno ciclo di morte e rinascita in connessione con l’alternanza delle stagioni.
Questo culto esprime un concetto universale che ha accomunato l’intera umanità sin dagli albori, la quale ha simboleggiato questa funzione fecondatrice della terra realizzando delle piccole statuine rappresentative di donne dai fianchi larghi e seni prosperosi. Ne sono state ritrovate parecchie in tutta Europa e sono state denominate, proprio in onore al culto della dea madre,
“Veneri” come le due
Veneri di Busardò ritrovate qui in Sicilia.
Testimonianze che ci confermano che nella nostra terra, ponte tra oriente e occidente, in tempi antichissimi, venivano innalzati templi alla
Dea Madre, una divinità giunta da molto lontano con le grandi migrazioni orientali dei Siklesch molto più tardi chiamati Siculi. Venivano dalla terra di Inanna/Isthar, (Importante divinità femminile mesopotamica: dea della guerra, giustizia e dell’agricoltura e regolava i cicli della natura) e anche dalla terra di Cibele (antica divinità anatolica) e di Iside (dea dell’antico Egitto, della magia e della fertilità e maternità). E a lei si offrivano spighe di grano, il cui seme veniva sepolto nella terra per poi germogliare in primavera, e vino perché il ciclo della vendemmia era anch’esso un simbolo di vita-morte e rinascita.
E proprio nei dintorni di
San Cono, all’interno di pozzetti scavati vicino a tombe a grotticella, ( particolare tipo di tomba scavata nella roccia, la cui forma ricorda quella di un forno e diffuse in Sicilia nell’età del Bronzo) sono state ritrovate due statuette femminili ricavate da ciottoli di fiume, denominate
le Veneri di Busardò.
La loro realizzazione si perde nei secoli, infatti risalgono al
periodo Eneolitico circa 6000 anni fa. Età intermedia tra il Neolitico e quella del rame. Sono caratterizzate da forme prosperose e da un pube colorato con una patina di ocra rossa che evidenzia come sin dall’inizio dei tempi, i nostri progenitori avessero compreso pienamente la funzione procreatrice della donna e quanto questa fosse
intimamente legata al perpetuarsi della vita stessa.
Il colore rosso vivido simboleggiava proprio il sangue e la sua importanza essenziale non solo come linfa vitale, senza sangue non c’era alcuna possibilità di vivere, ma soprattutto era strettamente connesso alla fecondità della donna.
Infatti quando compariva con le mestruazioni, segnava l’inizio del periodo fecondo invece quando scompariva rappresentava la fine della procreazione. Gli antichi, attraverso questa alternanza, simboleggiavano il ciclo perpetuo dell’esistenza stessa, in cui si
avvicendavano in un eterno ciclo, la stagione della primavera con quella invernale, la rinascita e il declino.
Sono state ritrovate
in fondo a dei pozzetti, poiché gli antichi Siculi consapevoli della funzione basilare della donna, con un rituale simbolico, le seppellivano nelle profondità della terra affinché potessero germogliare e far rifiorire una nuova vita così come nel buio del grembo materno si formava e cresceva un nuovo essere umano.
Questi antichissimi simbolismi rituali perpetuano fino ai giorni nostri l’esigenza dell’uomo di comprendere il mistero della vita per tentare di essere partecipe delle energie dell’Universo e poter superare i ristretti limiti della propria materialità. Questa sezione è stata interamente curata dalla nostra esperta, la Dott.ssa Eliana Vivirito