La leggenda del
Castello "Manfredonico"

La luna algida nella sua pienezza effonde scie evanescenti nella volta scura di un cielo privo di stelle. Il buio sovrasta implacabile l’antico maniero che si erge cupo e solitario sulla sommità di una rupe rocciosa. Lo avvolge come per rinchiuderlo in un eterno alone di dolore e sofferenza in cui riecheggiano le grida di disperazione di tre donne...

Le donne del Castello di Mussomeli

... Da giorni nessuno porta loro da mangiare, la porta chiusa a chiave dal loro fratello le ha catapultate nell’inferno della loro lenta agonia e loro, in un ultimo disperato tentativo di sopravvivere, addentano le loro stesse scarpe. Ma poi, oramai senza forze, si accasciano a terra vinte dalla stanchezza e dalla loro angoscia.
Continuando a stringere in modo spasmodico tra i denti il loro ultimo pasto, lentamente scivolano in una dimensione onirica in cui ondeggiano impaurite, oppresse dalla pesantezza del proprio corpo fino a quando, con un ultimo spasmo, serrano gli occhi in un sonno perpetuo.

Leggenda e Storia si fondono all’interno del maestoso castello di Mussomeli, detto anche Manfredonico, uno dei manieri più spettacolari della Sicilia, edificato nel 1370 da Manfredi III dei Chiaramonte, la cui particolarità consiste nella sua suggestiva mimetizzazione nella roccia calcarea, che lo rende simile al nido di un’aquila.

La leggenda narra che nella stanza oggi denominata “Delle tre donne” morirono di fame Clotilde, Margherita e Costanza, le tre sorelle di un potente principe di nome Federico.

Egli era così geloso della loro bellezza che vietava loro di affacciarsi persino dalle finestre che erano a strapiombo sulla pianura. Per questo, quando gli venne chiesto
di partire in guerra, prima di andare via, le rifornì del cibo necessario, poi le chiuse a chiave nella loro stanza e fece murare la porta per essere sicuro che non potessero uscire e farsi vedere in sua assenza. Il principe partì sicuro di ritornare in tempo, ma invece la guerra si protrasse più del previsto. E le sue sorelle, dopo aver consumato tutto quello che lui aveva dato, non resistendo ai morsi della fame, bollirono le loro stesse scarpe per tentare di mangiarle.

Così quando il principe riprese il cammino di ritorno e rientrò nel suo castello, era trascorso troppo tempo!
Impaziente di rivedere le sorelle, fece abbattere il muro ma, non appena riaprì la porta, trovò di fronte a lui una scena raccapricciante: invece di sorrisi e abbracci fu travolto da una ventata gelida.

Tre scheletri giacevano scomposti sul pavimento, con una scarpa stretta tra i denti. E, in molti, affermano di aver intravisto, nel silenzio fosco delle notti di luna piena, le tre fanciulle vagare per le stanze del castello con i loro abiti logori e con un’espressione di angosciosa tribolazione.
Le loro figure eteree aleggiano in un composto dolore, sperando di trovare quel cibo negato e quella pace che non fu concessa loro in vita.

Ma la loro presenza misteriosa che impregna le mura grigie e fluisce da una sala all’altra a volte si affianca al dolore tormentato di un’altra donna: Laura Lanza. La sfortunata Baronessa di Carini che fu uccisa dal padre insieme al suo amante.

La sua anima disperata per l’amore perduto, si aggira afflitta nel castello che appartenne al padre, il conte Cesare Lanza, e vaga silenziosa sperando di incontrarlo, in cerca di risposte e forse anche di vendetta. Percorre, disperata, i luoghi della sua infanzia, ritorna nelle torrette semicircolari del castello o si sofferma nella maestosa “Sala del Camino” ma c’è chi afferma di averla vista varcare l’elegante portale gotico della cappella e inginocchiarsi per pregare così come faceva quando era una giovane e ignara fanciulla, fiduciosa nella vita e inconsapevole del suo amaro destino.

Laura, Clotilde, Margherita e Costanza, donne, vittime dell’egoismo di uomini crudeli e insensibili, ancora oggi manifestano la loro dolorosa presenza per sublimare la loro sofferenza e renderla un monito eterno contro ogni forma di prevaricazione.


Questa sezione è stata interamente curata dalla nostra esperta, la Dott.ssa Eliana Vivirito