I Frati Pii

La notte dei bambini è popolata da gnomi che il tempo della pubertà si occuperà di trasformare in orrendi gargoyle gotici e quello della giovinezza in scintillanti fatine. Ma siccome il bizzarro gioco delle apparizioni si fa altrove e a nostra insaputa, noi, con il calcolato cinismo degno di Blaise Pascal, ci teniamo lontani dalle sue epifanie preferendo affidarci, in quelle ore, al caritatevole sonno. Ma questo figlio volubile degli Dei non ci risparmia scherzi di pessimo gusto e a volte si rifiuta di prestarsi alla funzione di rifugio dalla notte lasciandoci in balia della Dea dei misteri...

Anfinopo e Anapia
In una notte di leggenda, di lava e d'amore filiale


Il peggior luogo in cui il sonno possa dare dimostrazione della sua volubilità è l’alta quota.
Dormire nei luoghi alti è prerogativa degli animi forti e dei metabolismi acclimatati, per gli altri è solo fortuna.

Una notte d’estate di diversi decenni fa, caddi vittima del sonnambulismo delle alte quote.
Dopo due giorni di cammino in totale solitudine, mi accampai dentro una stretta grotta che permetteva a malapena l’ingresso di una sola persona ma che dava quel senso di protezione così raro in alta montagna. Non riuscì comunque a chiudere occhio e così intorno alla mezzanotte preparai lo zaino e mi misi in cammino.
Mi trovavo nel luogo più selvaggio dell’Etna, le Sciare del Follone, una distesa di lave a corde dell’eruzione del 1614, che si spinge fino ai 2500 m di quota prima di essere sepolta dalle più moderne lave scoriacee vomitate per decenni dal cratere di Nord-est, e che produce, nel fianco nord della montagna, quel senso di infinito che si rivela, prima che sulle gambe, nello sguardo, che si perde in quella teoria di terrazzi e canali e tumuli e fratture.

La mia grotta rifugio si trovava su un ampio pianoro a 2400 m di quota, da li iniziai a camminare verso i crateri alla sola luce della lampada frontale. Il silenzio era di quelli che solo nelle notti estive in alta montagna si può sentire.
Lontano dagli alberi e dagli uccelli della notte, in quella assenza di vento potevo addirittura immaginare di udire le stelle brillare. Il cuore scandiva il respiro e questo cadenzava il passo, il mondo era racchiuso in questo ritmico silenzio e nel cerchio di luce della lampada frontale, al di fuori del quale il buio della notte ed il nero delle sciare si confondono.

Dopo un tempo indefinito, ma non lungo, dall’inizio del cammino, cominciai ad udire distintamente della musica.
Certo lontana, ma ben definita. Non era rumore, ma musica. Mi guardai intorno, più stupito che impaurito. Nessuno.

Chi poteva suonare in quel luogo? Quando si punta la torcia frontale verso il buio l’effetto fa paura, la luce si diffonde fino a perdersi nel nulla e la sensazione di solitudine si fa più acuta. Mi tolsi lo zaino e controllai che il “walk-man”, cioè il mangianastri che mi ero portato dappresso fosse spento, lo era.
La musica era li, come il mio “walk-man” spento. Allora doveva per forza esserci qualcuno in quel luogo, mi misi a gridare, ma non udì risposte, solo l’inspiegabile musica che riprendeva in sordina allo spegnersi delle mie grida.
Non mi capacitavo, ma decisi di riprendere il cammino, stavolta lento e circospetto, fermandomi dopo pochi passi per controllare di essere sempre in compagnia di quella musica.

Poi, improvvisamente, la musica cessò. Questo fatto mi sembrò ancora più strano, così tornai indietro sui miei passi e d’improvviso la musica tornò e quindi ripresi ad andare avanti, la musica cessò di nuovo, ritornai indietro.
Mi sentivo come in un film di guerra sottomarina, in cui nel buio degli abissi l’addetto al sonar localizza la sagoma del natante nemico, come se avesse occhi al posto delle sue sensibili orecchie. E finalmente individuai il luogo esatto in cui avveniva la transizione musica-non musica.
Puntai la torcia in alto e su di me c’era il perfetto comignolo conico del Frate Pio inferiore. Mi trovavo alla sua base.

I Frati Pii sono due “hornitos” cioè due coni dai fianchi molto acclivi, tanto da non potere essere scambiati per i numerosi coni piroclastici che costellano le falde dell’Etna. Si innalzano per meno di una trentina di metri dalle lave intorno, ma la loro forma slanciata li caratterizza e li rende riconoscibili anche a distanza.
Tanto è vero che sulle carte IGM vengono indicati come “I due pizzi”. Ma il nome frati pii è carico di fascino e deriva da una leggenda molto siciliana.

La leggenda narra di due figli maschi, forti e valenti, Anfinopo e Anapia, che durante un’eruzione dell’Etna presero sulle spalle i due anziani, rallentando inevitabilmente il loro passo e con la lava che era ormai praticamente prossima dal sommergerli.
Miracolosamente, però, la lava, giunta a un passo dai fratelli Pii, si aprì in due lingue di fuoco, lasciando completamente incolumi i giovani e i loro genitori.

Una leggenda che ha quasi il sapore di una parabola evangelica ma soprattutto di un comandamento biblico, quello di onorare e implicitamente farsi carico, in qualunque circostanza, di coloro che ci hanno messo al mondo.
Quei due hornitos solitari, svettanti alla sommità delle sciare del follone sono quindi Anfinopo e Anapia, e non potevano trovare luogo più bello per ricordarci in eterno il bene della pietà filiale.

Ma la musica? Perché la musica si udiva passando al di sotto dei frati pii e spariva appena me ne allontanavo? Mi voltai verso nord, verso i monti Nebrodi, mi accorsi del paese illuminato di Santa Domenica Vittoria esattamente di fronte. Allora mi ricordai delle mie conoscenze di fisica delle onde e capii che la musica doveva provenire da lì, una discoteca o forse una festa, in fondo era sabato notte. Le onde sonore dovevano viaggiare risalendo indisturbate il fianco settentrionale della montagna senza trovare ostacoli.

Fino ad incontrare i frati pii o due pizzi che, come delle antenne di roccia, avevano rifratto e riflesso le onde sonore permettendo ad un insolito viaggiatore della notte, di passaggio sotto il cono di riflessione, di ascoltare abusivamente una musica che si produceva a molti chilometri di distanza.

I frati pii non smettono di regalare miracoli a chi ha gambe, occhi, orecchie e cuore per amarli.



Questa sezione è stata interamente curata dal nostro esperto, il Prof. Carmelo Ferlito