La grotta d'Anzisa 

Spessi rami di alberi si intrecciavano in misteriose trame naturali che sembravano creare un immaginario ricamo pulsante di vita propria. Sottili raggi di luce filtravano con delicatezza e si adagiavano sulla ricca vegetazione sottostante fondendosi con la pacata tranquillità di lievi refoli di vento. Questa magica quiete all’improvviso fu interrotta dal respiro affannato di due uomini che, poggiato il fucile a terra, scavavano a mani nude sempre più forsennatamente.
Ma più scavavano e più davanti a loro si spalancavano percorsi nascosti e aperture sempre più grandi.
Quando, di colpo, all’interno di una grotta il bagliore intenso dell’oro li colpì con la stessa violenza di una fiammata, si immobilizzarono e, sbigottiti, spalancarono la bocca come per far fuoriuscire l’eccitazione che non riuscivano a contenere in corpo.
Avevano trovato un tesoro nascosto...


Storia di una Truvatura

Nei pressi di Villarosa, in Provincia di Enna, una antica leggenda narra che ci fosse una grotta scavata nella roccia, all’interno della quale, il re che regnava su una città posta sulla sommità del monte Giurfo, avesse nascosto le sue ricchezze per evitare che un re confinante, il re Porco, se ne impadronisse. Il tesoro rimase nascosto per secoli fino a quando non fu scoperto per caso da due cacciatori, a caccia di conigli. Sperando di trovarne proprio dentro a questa grotta fecero entrare un furetto, ma dopo aver atteso senza esito, che l’animaletto ritornasse indietro con le prede, decisero di iniziare a scavare nella tana per recuperarlo. Ma con grande loro sorpresa si ritrovarono all’interno di una grotta piena di monete d’oro. Sopraffatti da una smodata avidità, raccolsero tutte quelle che potevano e le caricarono nelle bisacce delle loro mule che avevano preso in prestito da uno stalliere abitante ad Anzisa, lo zio Toni, e si avviarono a ritornare a casa. Sorpresi dal buio, si fermarono e si accamparono per la notte, mangiarono e si addormentarono, ma poco dopo dei dolori lancinanti allo stomaco, li svegliarono. Non fidandosi l’uno dell’altro, iniziarono ad accusarsi reciprocamente di aver avvelenato il cibo in modo tale che uno solo di loro avrebbe potuto impadronirsi di tutto.
All’improvviso un silenzio di morte si adagiò sui loro corpi contorti e si allargò nella notte buia come un presagio sinistro.
Le mule, dopo aver atteso parecchie ore, stanche, si mossero da sole e ritornarono in paese per riposarsi nella loro stalla.
Lo stalliere, incuriosito dal tintinnio che sentiva provenire dalle bisacce che le mule avevano sul dorso, le aprì e, incredulo, scoprì il prezioso carico.
Grato alla sua insperata fortuna, se ne appropriò, ma poiché era un uomo saggio, non li sperperò ma li utilizzò con parsimonia.
Da quel momento la caverna che aveva custodito per lunghi anni questo tesoro nascosto, prese il nome di Grotta D’Anzisa, dal nome del villaggio dello stalliere, e iniziò a correre voce che fosse abitata da maghi e streghe.
Così nacque tra gli innamorati timorosi di perdere il proprio amore, l’insolita consuetudine di recarsi nelle profondità magiche della grotta per chiedere aiuto alle forze sovrannaturali.
Questa è la storia di una “Attruvatura o Truvatura” che secondo la più antica tradizione siciliana fonde in sé credenze popolari, superstizioni e magia.
Il termine dialettale indica l’atto del ritrovamento di un tesoro nascosto da molto tempo, in un contenitore di terracotta, giare o quartare, e dimenticato da tutti.
La nostra Isola è ricca di storie di denari incantati e ritrovati, tramandate attraverso i secoli da racconti orali trasmessi da padre in figlio e risalenti all’epoca del dominio arabo in Sicilia, infatti la loro origine trae spunto dal repertorio delle fiabe arabe come quelle di Aladino e Alì Babà.
Esse si fondono con il fantastico mondo della magia nostrana per cui sono popolate di figure magiche come demoni, folletti o gnomi messi a guardia delle preziose ricchezze. E per ritrovare il tesoro spesso bisognava usare una formula magica o un rituale specifico.
Queste antiche storie siciliane fanno parte di quelle leggende cosiddette “Plutoniche” (Plutone era il fratello di Giove e nella mitologia greca era il dio del mondo sotterraneo) comuni a tutti quei luoghi soggetti a dominazioni straniere, per cui gli abitanti più che consegnare le loro ricchezze agli invasori preferivano nasconderle sotto terra.
E in Sicilia queste storie sono state alimentate dall’esistenza di numerose grotte e anfratti naturali formatisi lungo i secoli sulla nostra terra, ma soprattutto dai vari ritrovamenti, durante gli anni, verificatesi in varie parti dell’isola, di monete e beni preziosi. Infatti si è supposto che queste monete e beni potrebbero essere stati nascosti dai nostri antenati, i quali, soggetti a continue invasioni da parte di greci, romani, bizantini, arabi, normanni, svevi, angioini e spagnoli e conseguenti saccheggi e vessazioni con un numero ingente di tasse, avrebbero nascosto, in tutta fretta, le proprie ricchezze sotto terra o in luoghi insoliti per evitare di essere derubati.
Quindi l’origine di queste storie sembrerebbe avere un fondamento storico testimoniato anche dallo storico Giuseppe Pitrè.
“Là dove sono ruderi di antichità greche o avanzi della dominazione araba o resti d’un vecchio edificio qualunque, si è certi di trovare siffatti tesori, nascostivi dai padroni che li possedettero e che non poterono trafugarli in altra terra o portali all’altro mondo”.
Pur essendo in bilico tra leggenda e realtà questi racconti di Truvature hanno ammaliato intere generazioni e, ancora oggi, continuano ad affascinare la nostra immaginazione perché in fondo chi di noi, almeno una volta nella vita, non ha sperato di poter scovare un tesoro nascosto? Chi di noi non ha fantasticato di vivere un’esperienza magica che possa ricollegarci alla nostra antica anima siciliana?