Baubò

Nell’antica Sicilia, il culto della fertilità della Grande Madre Terra è sempre stato fortemente radicato. I Siculi avevano compreso pienamente il valore della funzione fecondatrice della Terra espressa dall’alternanza delle stagioni, funzione simboleggiata dalla dea Demetra e dal suo ricongiungimento con la figlia Persefone in Primavera, ridestando alla vita l’intera Natura e con essa gli uomini.

E le donne sicule venerarono questa particolare figura femminile, idolo segreto della loro femminilità, avendo compreso che tramite la propria sessualità si potesse percepire la sacralità della vita stessa...


Misteriosa divinità femminile


“Senza sorridere, senza bevanda gustare né cibo,

sedeva: e la struggeva desio della vaga sua figlia:

sinché la scaltra Giambe, coi tanti suoi lazzi e le beffe,

non ebbe astretta al riso la Dea venerabile e pura,

ed al sorriso, non ebbe tornato il suo cuore, al sereno”


In questi versi dell’Inno a Demetra, il poeta Omero narra di un’antichissima divinità femminile della mitologia greca, Baubò, dea archetipica della sessualità sacra e intimamente collegata alla Dea Demetra, protettrice delle messi e della Sicilia che le produceva, e venerata dalle donne durante le celebrazioni delle Thesmophorie: feste, risalenti a culti primitivi, celebrate in Sicilia come in tutta l’antica Grecia, in onore di Demetra Tesmofora, (legislatrice) che avevano lo scopo di risvegliare le energie generatrici non solo nel seno della donna ma anche in quello della Madre Terra.

Nonostante Omero la denomina con un nome differente, Giambe, che rimanda al suo modo di camminare claudicante, attesta la sua fondamentale importanza nei rituali sacri e tramanda, riprendendo un antico inno orfico, un mito arcaico che si perde nella notte dei tempi nel quale è racchiuso il mistero della femminilità.

Ma chi era questa misteriosa dea Baubò, spesso definita Dea dell’oscenità?

Nella mitologia greca era la sposa di Disaule di Eleusi e, dalle rare rappresentazioni fittili pervenute a noi, essa era raffigurata come una donna senza testa, con il volto sul ventre e la bocca al posto della vagina, come quelle ritrovate a Priene, antica città greca, oppure aveva la testa ma era rappresentata nell’atto di scoprirsi la veste, alzandola e mostrando i genitali.

Metafora arcaica della fertilità femminile, essa si ricollega alle panciute divinità femminili di epoca neolitica, misteriose nella loro incompiutezza corporale, a volte senza mani e senza piedi, ma sempre simbolo di vita.

Infatti nel mito riportato da Omero è proprio lei, Baubò a ridare il sorriso a Demetra, disperata per il rapimento della figlia Persefone da parte di Ade, e di conseguenza a ridonare la vita alla terra sterile.

Secondo il mito la dea, errante nei campi, depressa e sconvolta trovò ospitalità presso Baubò una vecchina garbata e cortese che le offrì da bere il Ciceone, una bevanda a base di Orzo e, secondo alcuni studiosi, miscelata a Segale cornuta quindi allucinogena. Ma Demetra si rifiutò perché era in lutto, allora per risollevarla e per farla ridere, Baubò si inventò una esibizione in cui si scoprì le parti intime. Così iniziò a danzare dimenando i fianchi in modo osceno e scuotendo i seni.

Demetra vedendola ballare a quel modo e osservando gli occhi al posto dei capezzoli e la bocca al posto della vagina, si lasciò andare in un sorriso e accettò di bere il Ciceone ( che da quel momento fece parte del rituale dei misteri eleusini).

E, ritrovata una serenità insperata, Demetra rise insieme a Baubò riacquistando così le energie per cercare la figlia e finalmente la Terra rinacque insieme a una Natura rigogliosa che assicurò di nuovo raccolti abbondanti.

Per il dolore Demetra aveva maledetto tutti campi fertili, e la terra era divenuta sterile e desolata: il grano per il nutrimento aveva smesso di crescere e maturare, i fiori non sbocciavano più e erano appassiti e i frutti tra i rami era rinsecchiti, provocando carestie e morte.

Baubò, questa misteriosa figura femminile, diviene così simbolo archetipico della fecondità della donna e attraverso di essa di quella della Madre Terra per scongiurare il cattivo raccolto e la carestia.

E, nell’antica Sicilia, il culto della fertilità della Grande Madre Terra è sempre stato fortemente radicato. I Siculi avevano compreso pienamente il valore della funzione fecondatrice della Terra espressa dall’alternanza delle stagioni, funzione simboleggiata dalla dea Demetra e dal suo ricongiungimento con la figlia Persefone in Primavera, ridestando alla vita l’intera Natura e con essa gli uomini.

E le donne sicule venerarono questa particolare figura femminile, idolo segreto della loro femminilità, avendo compreso che tramite la propria sessualità si potesse percepire la sacralità della vita stessa.

A testimonianza di ciò, nel 1961, durante gli scavi effettuati sull’acropoli di Gela, è stata ritrovata una statuetta raffigurante la dea Baubò. Essa risale al 460, 450 a.C. circa ed è l’immagine più antica della divinità esistente oggi. Essa indossa un leggero chitone, una tunica di stoffa leggera chiusa da una cucitura, impiegata nella Grecia antica. Ha i seni cadenti, il volto gonfio e delle rughe attorno alla bocca che evidenziano la sua età avanzata.

La statuetta veniva venerata durante le cerimonie in onore della dea Demetra Tesmofora che si tenevano presso il Thesmophorion di Bitalemi, un antico santuario e uno dei luoghi di culto di Demetra più noti nella Sicilia greca, ubicato sulla collinetta della cittadina.

Osservando la statuina si notano segni di annerimento per combustione sulla parte superiore, segni che testimoniano la violenza dell’assedio cartaginese che Gela subì nell’estate del 405 a.C.

Baubò, misteriosa divinità femminile, mentre scopre la veste e mostra i genitali non compie un gesto osceno, come interpretato da due apologisti cristiani del I secolo d.C. Clemente Alessandrino e Arnobio , ma nasconde un significato molto più profondo: essa ricorda l’origine della vita. Celebrando la fertilità e fecondità della donna si consacra di conseguenza quella della Madre Terra.

Sacro e osceno si fondono l’uno nell’altro in intima unione.

Attraverso lo svelamento del corpo femminile si svela il mistero della vita e Baubò compie una gestualità oscena per concretizzare il sacro. Divinità femminile primordiale essa rappresenta la grande Madre ed esprime il ciclo nascita-sviluppo, morte e rigenerazione che caratterizza non solo la vita umana ma anche i cicli naturali e cosmici. La sessualità femminile rappresenta così un ponte fra il mondo umano e quello divino.

Concetto pienamente compreso nelle antiche culture matriarcali, in l’osceno non era qualcosa di volgare ma un atto sacro, all’interno del quale l’essenza femminile si libera della preponderante esuberanza dell’energia maschile per potersi riconnettere con le profondità del proprio essere donna e divenire più consapevoli di se stesse.

Baubò, espressione del potere intimo femminile permette di vivere e condividere una dimensione pienamente femminile e di recuperare la sacralità della sessualità come fonte di vita.

Ed è questo il mistero dell’universo femminile, racchiuso, come un tesoro prezioso, nello scrigno della piccola statuina ritrovata a Gela.



Questa sezione è stata interamente curata dalla nostra esperta, la Dott.ssa Eliana Vivirito