Le Streghe di
Spartivento

Il grande albero di Noce di ergeva maestoso nell’oscurità silenziosa della notte e i suoi rami tortuosi si annodavano in grovigli contorti che, come oscure propaggini, sembravano imprigionare segreti arcani. Nuvole cupe si addensavano in un cielo privo di stelle come un manto pesante e soffocante, da cui traspariva la luce della Luna che, indomita, non si lasciava intimorire dalla sua eterna lotta contro le tenebre...

La leggenda del Noce di Spartivento 

“ Ventu, forti ventu, portimi supra a nuggià di Spartiventu!”

Ombre di donne, dai lunghi capelli sciolti, si muovevano veloci intorno al robusto tronco, eteree figure sembravano scivolare nell’aria come se non avessero corpo e, avvolte in un fruscio sinistro, si riunivano formando un’unica chiazza livida, manifestazione del loro funesto potere notturno.

A Novara di Sicilia, in un tempo lontano, narra la leggenda, vivevano delle potenti streghe. Al centro della Piazza Matrice, dove anticamente sorgeva un tempio pagano e oggi invece uno splendido Duomo, si trovava un gigantesco albero di Noce attorno al quale si riunivano queste streghe per svolgere i loro Sabba e i loro rituali, e per consumare cene a base di uova e pane.

Si tramanda che esse vi si recavano in un modo particolare.


Ogni sera ogni strega, allo scoccare della mezzanotte, recitava una filastrocca magica:

Vento, forte vento, portami al noce di Spartivento!

All’improvviso si spalancava la finestra di casa e appariva un maiale, che la accompagnava sull’albero. (Secondo la tradizione popolare, ogni strega per potersi recare presso un albero di noce doveva attenersi a un preciso rituale affinché Lucifero mandasse un suo servitore, di solito un capro che a Novara di Sicilia veniva personificato in un maiale).

Una notte però una delle streghe per inesperienza osò chiedere del sale durante la cena non ricordando che le streghe provano raccapriccio di fronte ai piccoli e cristallini granelli che con la loro purezza bloccano i loro sortilegi e che il solo pronunciare il suo nome determina l’immediato scioglimento del convito.

Infatti non appena ebbe finito di pronunciare la parola, subito si sollevò un vento fortissimo che scatenò una violenta tempesta solo sull’albero di Noce. Le streghe risucchiate in questo vortice, furono scaraventate ai quattro angoli del mondo.

Tempo dopo, questo grande albero fu abbattuto per poter edificare il Duomo e il suo prezioso legno fu utilizzato per costruire le porte, gli armadi e gli scranni del coro.

Questa leggenda è ancora così presente nella cultura del paese che nello stemma del Comune di Novara vi è disegnato proprio il gigantesco albero di Noce.

Un albero che sin dai tempi più antichi è sempre stato considerato sacro e legato al divino.

Nell’antico mondo greco era strettamente connesso al Dio Dionisio (Bacco per i Romani) e al suo amore per la principessa Caria una delle tre figlie del re della Laconia Dione

Dionisio, adirato per l’invidia delle sorelle maggiori che avevano riferito al loro padre del loro amore, le fece impazzire e poi le trasformò in rocce. Ma Caria, addolorata per le sue amate sorelle, morì di dolore, così Dionisio, per amore, la trasformò in un albero di noce, per poter continuare a vivere nei suoi fecondi frutti.

Il mito tramanda che questa morte fu annunciata dalla dea Artemide (Diana per i Romani) ai Laconi i quali edificarono un tempio al cui ingresso furono poste, in suo onore, delle colonne in legno di noce scolpite con figure femminili (Cariatidi).

Il particolare legame tra questo albero e le divinità femminili, ha attraversato i secoli e nel Medioevo ha alimentato la famosa leggenda del Noce di Benevento, il grande albero sotto il quale si riunivano tutte le streghe, presiedute dalla dea Diana per praticare i loro rituali e per danzare durante i Sabba. Albero che venne nominato per la prima volta come luogo di incontro, durante il processo contro Matteuccia da Todi nel 1428, una donna accusata di stregoneria.

L’albero di noce quindi possiede da sempre un alone misterico e divino che indusse la tradizione popolare a considerarlo come il luogo prediletto dalle streghe, sotto cui si incontravano per incantesimi e maledizioni.

Questo perché sin da tempi immemori, la sua possanza e le proprietà curative dei suoi frutti, avevano alimentato la nascita di culti notturni, dedicati a divinità femminili, soprattutto Diana, dea dei boschi e della caccia. Culti arborei in cui si compivano antichi rituali di fertilità per favorire il ciclo perenne della vita. Sotto quest’albero donne e anche uomini invocavano divinità ataviche e le onoravano danzando alla luce della Luna.

Ancestrali festività rituali e danze propiziatorie, per perpetuare le ieratica solennità di questo albero che sin dai tempi dei romani fu dedicato a Giove, infatti il suo nome scientifico è Juglans regia “ghianda di Giove”.

Ma questi culti pagani vennero demonizzati dall’opera di cristianizzazione messa in atto dalla Chiesa. Da rituali sacri si trasformarono in riti di magia nera attraverso cui promanare le forze del male. Da luoghi di culto divennero posti in cui demoni e streghe si riunivano per compiere sortilegi e malefici.

E l’albero di Noce, da sempre presente nel mondo magico della religiosità pagana, perse il suo alone divino per acquisirne, nella tradizione popolare, uno oscuro e pauroso, avvalorato da una sua insolita caratteristica, che venne interpretata in modo negativo: le sue radici, così come le foglie, emanano una sostanza tossica, detta Juglandina, che non permette alle altre piante di crescere nelle vicinanze per cui molto spesso questo albero si trova in zone isolate.

Questo crea uno spazio vuoto tutto intorno come una sorta di cerchio magico, un luogo misterioso che generò inquietudine e paura.

Inoltre il suo frutto, la noce per la sua forma particolare venne da subito associata a quella di una testa umana: il guscio sembra un cranio mentre il gheriglio assomiglia a un cervello e per questo motivo se ne traevano olii e impiastri per curare il mal di testa.

Ma anche un liquore particolare il Nocino la cui preparazione è da sempre legata alla simbologia della notte di San Giovanni. Secondo questa tradizione le noci devono essere raccolte il 23 giugno da una donna che, a piedi nudi, sale sull’albero e stacca i frutti migliori con le mani senza rovinare la buccia. Dopo, le noci devono essere esposte tutta la notte alla rugiada per conferire loro poteri curativi e poi il giorno dopo si immergono in una infusione di zucchero e alcool.

Quindi questo albero ha sempre posseduto potenzialità curative e tossiche al tempo stesso. I contadini ancora oggi, sconsigliano di dormire sotto questo albero, perché le sue esalazioni provocano forti dolori alla testa e a volte anche la febbre. 

Anticamente si credeva che potesse far perdere il senno. La pazzia simbolicamente rappresenta l’ingresso alla dimensione ultraterrena della magia, così come le ancelle di Diana, che danzavano intorno a quest’albero dopo aver assunto un decotto che ne alterava la coscienza.

La magnificenza magica di questo albero si esplica nella sua singolare solitudine e nel suo ruolo nei culti religiosi precristiani che lo hanno reso nei secoli fino ai giorni nostri, un luogo sacro e oscuro al tempo stesso, un luogo di incontri rituali che connettono con le origini della vita stessa ma anche capace di accogliere i presunti convegni notturni di esseri malefici come le Streghe di Spartivento.


Questa sezione è stata interamente curata dalla nostra esperta, la Dott.ssa Eliana Vivirito