Le Donne di Fora diventano Streghe malefiche



Ma chi erano in realtà queste Donne di Fora?

Erano donne, conoscitrici di antichi saperi, che erano stati tramandati oralmente da madre in figlia. E tutte furono processate come streghe dalla Santa Inquisizione Spagnola. Gli inquisitori, preoccupati di adeguare la magia siciliana ai loro schemi di demonologia spagnola che identificava come Strigas tutte le operatrici magiche, non compresero la profondità religiosa della stregoneria siciliana per cui identificarono tutte le nostre Donne di Fora come streghe e le chiamarono anche Lamie.

In realtà non erano streghe ma solo guaritrici che adoperavano pratiche magiche di guarigione rifacendosi a antichi rituali pagani, mescolati a orazioni e invocazioni della religione cristiana.

Fu così che le Donne di Fora furono accusate di eresia e apostasia, magia nera e negromanzia. Da fate benefiche si trasformarono in esseri demoniaci da catturare e da uccidere.

Con la dura repressione messa in atto dall’Inquisizione, ogni loro azione viene travisata. Così il volo si trasforma in un patto col demonio, da immaginario diviene concreto e pericoloso, così come i riti di fertilità, che praticavano da millenni, divennero incontri col demonio: i Sabba.

La loro magia positiva alla fine diviene qualcosa di oscuro e perverso, capace di procurare la morte. Fu così che la dimensione del sogno e della contemplazione estatica venne tramutata in realtà diabolica e punita molto duramente dagli inquisitori che, in un atteggiamento misogino, diedero poco credito agli uomini che dichiararono di uscire di notte con le streghe. Ad essi inflissero delle pene più lievi, invece le donne vennero frustate, messe alla gogna, recluse, bandite dalla loro terra, e sorvegliate anche in esilio dal Santo uffizio, affinché non ricadessero nella pratica magica.

Nel 500 il poeta Antonio Veneziano ne parla come di vere e proprie streghe che di notte si recavano sotto l’albero di noce di Benevento. La sua considerazione, così come di altri dotti del tempo, dimostra come la Chiesa e il Santo Uffizio avessero influenzato l’opinione pubblica su chi fossero le Donne di Fora.

L’Inquisitore Ludovico Paramo le definisce un terribile flagello che spetta al Santo Uffizio debellare con ogni mezzo.

Le denunce contro le Donne di Fora raggiungono il loro culmine in concomitanza con gravi carestie ed epidemie come la peste del 1624 durante la quale vennero denunciate 9 guaritrici.

Esse vennero accusate di fare parte di una stessa congrega e Vincenza La Esquarchia di essere a capo delle altre.

Vincenza era la moglie di un lavoratore giornaliero e residente nel piccolo centro agricolo di Alcamo sulle colline tra Palermo e Trapani.

Denunciate da un sacerdote malato e dichiarato inguaribile dai medici, esse raccontarono all’inquisitore che erano state chiamate al suo capezzale. Subito Vincenza e una sua sorella fata Caterina Calandrino, appena entrate in casa, avevano capito che il prete era stregato e che lo avevano compreso perché loro erano Donne di Fora che di notte andavano insieme alle altre per tre giorni alla settimana.

L’inquisitore nel dettare la relazione da spedire a Madrid aggiunse che in Sicilia le Donne di Fora erano come quelle che in Spagna si chiamavano Streghe e sottolinea la definizione con un tratto di penna in modo tale che venga posta sotto attenzione.

Il sacerdote, accusandole, raccontò che Vincenza gli aveva promesso di portarlo con sé, non appena guarito, per aggregarlo alle sue compagne e che lo aveva rassicurato dicendogli di non avere paura perché erano donne cortesi e gentili.

Oltre all’accusa del prete si aggiunse una testimone che dichiarò che Vincenza faceva parte ed era a capo della congrega che si chiamava Compagnia della Matrona o dei Romani. Tutte insieme di notte in volo si recavano a Roma, a Messina e in molti altri luoghi. Volavano sotto la guida della Matrona, una donna che precedeva tutti con una fiaccola in mano per illuminare il cammino e tutti procedevano tenendosi per mano, uomini e donne, cantando e suonando, vestiti con abiti diversi da quelli comuni.

Giunti alla meta entravano nelle case aprendo le porte con una grande chiave d’argento e quando uscivano pronunciavano una frase:

“Si levi la danza e cresca il bene”.

Alla fine, questa testimone, era stata portata da Vincenza in un meraviglioso giardino, in cui si elevava una grande torre, sotto la quale si sono fermate un mese tra balli canti, pranzi e scambi di doni. Ma, osservando le donne della Compagnia, aveva visto fuoriuscire dai loro bei vestiti una coda piena di peli, lunga dieci dita o un palmo.

Vincenza venne imprigionata ma negò tutto e riuscì a invalidare le testimonianze accusando i testi di cattiva fama.

Gli Inquisitori non avendo prove, pur di non liberarla, decisero di farla confessare sotto tortura. Ma la donna sottoposta alla tortura della corda per due giorni consecutivi, nonostante fosse vietato, resistette e non confessò per cui dovettero scarcerarla.

Però gli inquisitori, ossessionati dalla loro stessa opera di persecuzione, rivolsero la loro crudeltà alla sua compagna Catharina Calandrino e la accusarono di aver stretto un patto con il diavolo dopo aver rinnegato Dio e la fede cattolica e di andare con le Donne di Fora.

Catharina, purtroppo non aveva stessa forza d’animo di Vincenza e poiché era ammalata e non poteva essere torturata, venne minacciata psicologicamente. Terrorizzata la donna confessò tutto quello che volevano sentire, così venne condannata. E dopo aver compiuto l’Autodafè pubblico, fu rinchiusa nell’Ospedale Grande di Palermo.

Questi sono alcuni stralci dei processi che subirono le Donne di Fora, ma che, mentre da un lato testimoniano l’accanimento inquisitoriale sulla base dei loro testi di demonologia, dall’altro rivelano quanto queste donne, eredi inconsapevoli delle medichesse dell’antichità, fossero tenute in considerazione all’interno delle comunità della Sicilia.



Questa sezione è stata interamente curata dalla nostra esperta, la Dott.ssa Eliana Vivirito