La Vecchia dell'Aceto

Le streghe malvage del nostro passato, profonde conoscitrici delle proprietà delle erbe e delle piante e soprattutto della loro tossicità se usate in dosi elevate, sfruttarono queste loro abilità per creare potenti intrugli in modo da provocare malattie e morte.   Giovanna Bonanno fu una di loro.


La vera storia di Giovanna Bonanno
e l' “Arcano liquore aceto”


Un oscuro sussurro di parole magiche si espande nell’aria in misteriosi flussi che, come tenebrosi serpenti, si avvolgono in inquietanti spirali, convogliano dentro di essi ogni energia negativa per poi sciogliersi e scagliarla con violenza contro ogni essere vivente. Seguendo occulti percorsi raggiungono la vittima designata e la stritolano in un incubo di malvagità e di morte.

Le streghe, avvolte nelle loro vesti nere come la profondità di un cielo buio e con i capelli scompigliati lungo le spalle, mormorano bisbigli incomprensibili e osservano le spire di fumo scuro che si elevano verso l’alto attorcigliandosi tra di loro in nere catene, funeste presagio di distruzione, mentre stringono tra le dita ossute e raggrinzite un vecchio e logoro mestolo di legno. Immerse nel loro arcano rituale, lo fanno roteare dentro al calderone posto sul fuoco, con lenta regolarità, con indolenza, consapevoli che la fretta devasterebbe, con la stessa impetuosità di una folata di vento, ogni azione e annullerebbe ogni effetto.

Concentrate nella ripetizione delle loro formule, fissano il liquido scuro che ondeggia minaccioso come un mare in una notte senza stelle e, pazienti, aspettano che gli ingredienti che hanno buttato dentro si mescolino tra di loro e si fondano in un unico elemento. Ali di pipistrello, foglie di pioppo e fuliggine galleggiano nell’acqua di Aconito intrisa di sangue di un piccione nero, fino a che non si rapprendono e poi vengono filtrati per ottenere una pozione malefica.

Le streghe malvage del nostro passato, profonde conoscitrici delle proprietà delle erbe e delle piante e soprattutto della loro tossicità se usate in dosi elevate, sfruttarono queste loro abilità per creare potenti intrugli in modo da provocare malattie e morte.  Giovanna Bonanno fu una di loro.

Protagonista di una macabra vicenda avvenuta più di 200 anni fa e di cui ancora oggi si parla.

Megera di Palermo, vissuta nel XVIII secolo nel quartiere palermitano della Zisa e passata alla storia come La Vecchia dell’aceto.

La donna viveva in povertà mendicando per le strade, ma un giorno per caso assistette a un avvelenamento di una bambina che aveva bevuto accidentalmente un sorso dell’aceto utilizzato per i pidocchi, un miscuglio di aceto e arsenico, venduto dal droghiere. La bambina fu salvata dallo stesso venditore che le fece bere dell’olio facendole vomitare tutto quello che aveva ingerito.

La Megera, spinta dalla sua innata cattiveria, comprò una bottiglietta di quell’aceto per pidocchi vi inzuppò un pezzo di pane e lo diede da mangiare a un povero cane randagio che aveva catturato e legato a un palo. Il giorno dopo lo trovò morto ed essendo una attenta conoscitrice degli effetti letali delle sostanze sul corpo, prima tirò il pelo dell’animale, poi esaminò le mucose della bocca. Notando con soddisfazione che non erano nere e che il pelo non si era staccato facilmente dalla pelle, si rese conto che quel miscuglio velenoso non lasciava alcuna traccia di avvelenamento.

A quel tempo, nel 1700, la medicina non possedeva grandi competenze per cui medici non erano sempre in grado di stabilire quale fosse la causa di un decesso con assoluta certezza.

Giovanna, compiaciuta della propria malvagità, organizzò una vera e propria attività di morte. Vendendo quel veleno avrebbe potuto risollevare la sua situazione economica. Così cominciò a spargere la voce che lei era in possesso di un misterioso liquore “Arcano liquore aceto” così come lo definiva, in grado di riportare la pace nelle famiglie e che lo avrebbe concesso, dietro un piccolo compenso, a tutte quelle donne che volevano sbarazzarsi del marito o di un amante indesiderato o ancora di un uomo che non contraccambiava il loro amore.

La voce si diffuse e molte donne chiesero il suo aiuto.

E lei, dopo che il poveretto era morto dopo atroci dolori allo stomaco, si recava a casa della cliente, chiedeva il proprio compenso e poi si faceva il segno della croce dicendo:

U Signuri ci pozza arrifriscari l’armicedda!

Il Signore possa rinfrescargli l’anima!

Però anche se questo intruglio non lasciava tracce, le numerose morti nel quartiere palermitano, senza alcun motivo apparente, cominciarono a insospettire molti, ma non avendo prove, per lungo tempo non riuscirono a fermarla.

Solo quando una madre, dopo la morte improvvisa del figlio e le successive nozze della nuora, la denunciò tutta questa catena di morte si fermò.

Questa donna, che era anche una sua carissima amica, per vendicarsi, finse di voler comprare una bottiglietta del famoso veleno, ma al momento della consegna andò accompagnata da quattro testimoni che confermarono ogni cosa.

La Vecchia dell’Aceto venne arrestata e fu rinchiusa nelle prigioni di Palazzo Steri. Durante il processo, così come risulta dagli atti processuali, ella dichiarò di essere convinta di aver reso un servizio alla comunità. Ma fu accusata da sei dei coniugi superstiti e dallo stesso droghiere che le aveva venduto l’aceto per pidocchi.

Fu processata e condannata a morte per veneficio e stregoneria.

E la mattina del 30 luglio 1789, fu impiccata davanti al popolo e ai nobili della città, sulla forca eretta sul quadrivio di piazza Villena.

La sua storia è stata tramandata oralmente e ha affascinato e impaurito al tempo stesso, intere generazioni e ancora oggi c’è chi giura di averla vista errare certe notti per i quartieri e i vicoli di Palermo come se fosse in cerca di quella pace che la sua anima dannata non è riuscita a trovare nell’aldilà.


Questa sezione è stata interamente curata dalla nostra esperta, la Dott.ssa Eliana Vivirito